HEGEL - Numero Uno 1994
Hegel 1994 Almeno l'inizio Hegel Tubinga La bellezza riunita La moda nel respiro Stanze come questa Estetica La voce del viso |
ALMENO L'INIZIO BATTISTI-PANELLA Alla fine ti trovasti in un bel posto e lì capisti perchè t'erano stati chiesti gli occhi in prestito Per il loro particolare colore , fai tu quale che ora è l'iride delle finestre. Alla fine ti fu chiaro perchè quel gran parlare della tua bella conchiglia auricolare e quel solleticare. Eccoli i padiglioni i disimpegni, la chiocciola , i vestiboli, ecco la stanza. E tu entrasti perchè c'era tutto e tutto a oltranza i tuoi comportamenti e le reazioni le tue belle presenze e gli abbandoni le carezze in cambio delle tue carezze e le scontrosità, le irritazioni. C'era anche qualcuno che ti diceva è tardi dobbiamo andare. E tu dicevi. No io voglio ancora, ancora io mi voglio, mi voglio rivedere, e se non tutta almeno l'inizio. Che cosa avresti fatto per sentirti un po' più sola e per dolcemente navigare sul dorso, sul tuo petto e fare una capriola che ribaltasse il cielo. Lì c'eran tutti predisposti i baci asciutti e meno e tutti i desideri e le istintive applicazioni di te erano montate ad arte accanto al tuo profilo vicino a ogni tua parte. E tu dicevi ancora un altro poco e se non tutto almeno un po' d'inizio. Fare si può fare ed anche disfare ma è un'impalcatura. Dipende da chi sopra ci sale. E tu dicevi ancora un poco e se non tutto e se non tutto almeno l'inizio. E tu una volta su, osservi la tua stanza. Tu la tua nella quale oltre il disfare e il fare si delineano cose appena, appena verosimili. Con ciliegie passeggere e grappoli appannati d'uva segrete e nere dalle pelli boriose e fini perchè tu che ti senti alle volte una mandria possa indire turchini selvaggi festini. Con curvi cieli estivi che scendono come coperchi su te che bollivi . Con i freschi provvisori che soffiano sotto i cuscini e tu li assalivi con gli abbracci e le guance giaciute con l'equatore perchè di te già cibata non è di calore che hai bisogno ma di un orgoglioso refrigerio. HEGEL BATTISTI-PANELLA Ricordo il suo bel nome Hegel Tubinga ed io avrei masticato la sua tuta da ginnastica. Il nome se lo prese in prestito dai libri e fu come copiare di nascosto fu come soffiare sul fuoco. Cataste scolastiche perchè ? quando tutto è perduto non resta che la cenere e l'amore e lei nel suo bel nome era una jena. Chi di noi il governato e chi il governatore. Son fatti che attendono alla storia chi fosse la provincia e chi l'impero non è il punto. Il punto era l'incendio. Erano gli esercizi obbligatori estetici le occhiate di traverso e tu guardavi indietro c'eravamo capiti, capiti all'inverso. Ci diventammo leciti per questo. D'altronde d'altro canto. A volte essere nemici facilita. Piacersi è così inutile. Un bacio dai bei modi grossolani sfuggì come uno schiaffo senza mani. Talmente precisi ci si rese conto d'essere un allegoria soltanto quando ci capitò di dire indicando il soffitto col naso di dire "noi due" e ci marmorizzammo. La corda tesa a mò d'arco e la tempesta, la schiuma. il cuore amò se stesso ma noi non divagammo. L'animo umano è nulla se non è una pietra da scalfire ricavando i capelli e il suo bel piede. Era la collisione, il primo scontro epico perchè non scritto ma cavalcato a pelo ed ognuno esigeva la terra dell'altro le mani, la terra, la carne e il terreno. TUBINGA BATTISTI-PANELLA Da qualche tempo è recente anche l'antico. Il disco del discobolo è cromato. Nella testa di Seneca si sente il motorino di un frullatore. Nelle piramidi continuamente scatta un otturatore. E in te Tubinga in te non c'è un juke-box e non un tostapane. Tu mi risparmi d'essere testimone antico e recente delle istruzioni lette attentamente. Non un tasto in comune, non un percorso passando per bi e ci dalla a alla di. Non un cablaggio, non una connessione. Non la contemplazione, nemmeno l'esperienza. Ma una delicata leggera confusione, perchè mi sfugga come una stoltezza l'invocazione a te mio generale, mia generalessa. E al posto del carattere. E al posto del carattere mia cara, poniamo una tempesta un caso esterno, un alto mare che i giorni, i mesi, gli anni inseguono e non possono afferrare. Io decorato di passamanerie come un divano per dirti siediti distendi le tue gambe ed usura il tessuto col tallone poi dormici su che poi quando ti svegli parlandoti di me ti dirò egli. Egli è qui. E' qui ed ora e non ti dirò altro. Non parlerò di stili e di reliquie. Tutto è recente come uno squillo di sveglia. La data più vicina è un dormiveglia. E al posto di cose ci sono le cose. Poniamo le cose, esaurite le stesse. E dopo le stesse mettiamo le cose se le medesime vanno esaurendo. Un bel poligono al posto della stella e nel quadrato il tondo andando bene. Nel coraggio di Achille le rotelle per fare l'orlo alle pastarelle. E supplicante l'immagine è morente narciso e dalia e insetto galleggiante come pasto rimastica le spente nature morte virtuosamente. Ahi, c'è qualcosa che cade e una cosa sta su. Ahi c'è del chiaro e del bruno c'è. C'è una cosa chiusa in sè, fa un rumore un po' tacito. Sembrerebbe il sussurro dell'acqua. Ahi, c'è qualcosa che odora, una profumo non ha. Ahi, c'è del grande e del piccolo. Una c'è fintantochè ce n'è un'altra che mormora. Sembrerebbe il sussurro dell'acqua. Ahi, c'è qualcosa che chiude. Una schiude, una resta dov'è. C'è dell'asciutto e dell'umido nelle cose cosicchè piatte l'une altre ripide. Sembrerebbe sussurro dell'acqua. LA BELLEZZA RIUNITA BATTISTI-PANELLA Mi apparisti vestita e più carpita da me più che tu non lo fossi. Misurarti la vita mi pare proprio che sia tutto quello che posso. La bellezza riunita ha più difesa di sè mi dicesti "sospira". Come chi si ritrae con il dito chiedendo silenzio la totale pienezza di te. Dal mio braccio destro si disincagliava e calava nell'ansa del sinistro mista alle piegature e declinava. Di te, in te stessa l'attività assoluta. Era una lotta contro la natura che è dimessa al vento, succube alla furia. Ma tu non soccombevi eri impennata sulla tua forma finita e creata. E la tua finitezza superavi sapendo di te stessa non solo di convessa, di concava, di cava, umana pelle umana. E la realtà finiva e il vero cominciava. Certo imbruniva, ma imbruniva fuori. All'interno i colori erano luci spente umiliati dalla tua bocca ponente. Dopo un po' si vedeva, soltanto quello che può perdonare la vista. E scoprire le gambe fu qui la tua miglioria per distinguere meglio. Ogni tuo gesto è compreso in tutto quello che sa di te stessa quel gesto. LA MODA NEL RESPIRO BATTISTI-PANELLA La moda è generosa pensi cade più docile delle mura più facile dei bastioni ai tuoi piedi sciolta la chiusura. Dici i Greci e pensi sono pieghe, son colori i Fenici e i Macedoni fibbie, intimi i Latini. La moda è generosa pensi meglio di un pugile si risolleva, più agile perde i sensi crolla in pezzi senza alcun patema. Dici i sogni e pensi ai bottoni son asole i risvegli, e gli scolli effusioni e spacchi gli sdegni. E chi teme la moda è immerso in essa comunque e d'essa intriso come un cardo dal gambo reciso. E dici è molto comoda se esclude sempre di presentarsi in figure, in tagli forme e positure immediatamente tutte nude. Così che quando passa questo eccesso ci pare non avere perso nulla ci pare non avere perso il tempo che la nudezza sbriciola e maciulla. Dici la via di mezzo ecco la via, quella percorsa dai ragazzi alteri che vanno a divertirsi nei misteri, spiegabili perchè non intralciati dai cupi sedimenti dei passati. Mi dici il mezzo giro, quello che va di moda dei tuoi fianchi, gli occhi totali, come elianti, la spossatezza semplice formale ed un rilassamento collegiale. Come se intorno a noi, in curvi corridoi i disciplinatori, le studentesse e gli studenti rapinatori del momento d'oro, consumassero un lusso di moine un rimandare sempre all'anno dopo frenetici in un ballo senza scopo. Noi nella stanza accanto, e la moda cambiava nel respiro, il nostro che cambiava ogni tanto. STANZE COME QUESTA BATTISTI-PANELLA Prendiamo una carrozza anacronistica, aggiornandola in quanto inesistente. Saliamo alla sua guida. Di redini,di lacci se ne trovano, di legami tra noi di dolci bende. Bardiamo un animale a caso : il cuore. Dai fianchi pretenziosi da roano. Ecco che trotta. Che ci prende la mano. Abbiamo visto le reggie dietro le inferriate e le foreste nere e le campate non so di quanti ponti. Ho visto la tua nuca ad Alessandria e poi me lo racconti se ci sei mai stata, se ti senti, ti sentivi osservata. Il posto è qui. E' qui quel lavorio dell'erba simile al pensiero che contiene nel vello quell'orma del tuo corpo ed uno stelo sconvolto. Dal tuo gomito che avrebbe dimenticato d'essere carnale per non dimenticarlo in generale. Qui si incavano senza corpi a pesare le nostre impronte a muoversi a sedere. Vedi là, vedi là. E gli occhi saltanò come chiaro e pupilla capinere. Ci sono posti al mondo dai quali non c'è fuga. Stanze come questa nelle quali restano le nostre rappresentanze, i nostri uffici doganali. Dove noi veramente, ci impieghiamo avviluppati in teneri sofismi, cavilli di permessi, arzigogoli tropismi, nella nostra direzione. Una frontiera fatta di due righe. E bastavano le dita di una sola mano mandata avanti in viaggio all'altra le farà da testimone. Si può vedere tutto e fermamente se di due righe è fatta facciamo la frontiera, dove passa fauna e flora straniera. ESTETICA BATTISTI-PANELLA E' successo quello che doveva succedere. Ci siamo addormentati perchè è venuto il sonno a fare il nostro periodico ritratto. E per somigliarci a noi, più che noi stessi ci vuole fermi, che appena respiriamo e mobili ogni tanto, come un tratto sicuro di matita. Ecco che siamo, la viva immagine di una distilleria abusiva che goccia a goccia secerne puro spirito. Noi dietro una colonna ridevamo per l'aneddoto e ci contrastavamo amabilmente su aria, fiato e facoltà vitale, su brio d'intelligenza, sull'indole e sull'estro, soffio, refolo, vento e venticello. Sull'essenza e sulla soluzione, sul volatile e sulla proporzione, sul naturale e sul denaturato. E poi sulla fortuna. La fortuna non c'entra, quando una cosa per terra si posa. E vale sia per l'estetica che per l'allodola. E lui continuava a ritrattare. A ritrattare, quindi. E la reale e doppia fisionomia nostra spariva via, come una coppia annoiata di visitatori da una mostra. Noi dietro le sue spalle, ridevamo per l'aneddoto, mimetico, drammatico, faceto, ditirambico. E ci contrastavamo amabilmente, su verde, rosa e viola del pensiero, su mente giudicante, su lampo e riflessione e sul limpido e il cupo e il commovente, su coscienza e su allucinazione, sulla celebre cena e gli invitati, colori che divorano colori. Se lo spirito s'eccita per caso esilarando oppure ardendo bruciando bruciando. E chi dei due, ha le parti fredde cercando le tue. LA VOCE DEL VISO BATTISTI-PANELLA Per insignificanti movimenti tanti e tanti il volto è tutto e tutto sta raccolto sopra il tuo bel volto. Lingua che sei straniera e non si sa se vuoi che io ti distingua dalla mia o se mia lingua ti finga. Bocca di gradazioni, intera gamma dalle predilezioni alla maniera amara. Bocca che mi sei cara appena appena schiusa quando armatura in te quella fessura è un dissuadendo le svariate forme labili d'espressione per tentativi ed approssimazione. Ed il tuo volto è tutto nel momento in cui passando sopra la tua immagine della quale è troppo facile dire che in superficie affiori l'anima passando sopra alla tua immagine invece ci si vede intraducibile l'estraneità al lavoro. Che il volto è tutto ma non è del corpo al quale pare unito. Il corpo contentando il senso della nutrizione il viso l'ascensione, l'assorbenza dell'inappetenza perchè un bel volto è bello se lo si può guardare è un disimparare del mondo questo e quello. Così ci si innamora di un viso in cui l'estraneità lavora. Il corpo segue come un testimone casalingo e familiare e di questa apparizione in su la cima. Quest'opera sensibile il tuo volto che si manifesta ed è oltre all'ordine della natura. Ecco come tutti i portenti tende a scomparire più cerchi di tenerlo a mente e nelle spire dei ritrovamenti portentosi. E la voce del viso allora nemmeno ricorre ai miracoli non un riso, un pianto non una smorfia, densa d'oracoli. Ma dà senso quella voce a un solo volto che sotto il mio rotola si ferma e freme alle mie mani preme perchè lo riporti in cima, in vetta al suo sistema dei piaceri. Secondo un canone, un precetto ed una disciplina che inumidisce i capelli e per discrezione s tende un velo di malore sulla pelle. Ti spadroneggia allora il tuo godìo disincantato in quanto più è restìo al racconto lenitivo, al riassunto giulivo. E non è riso appunto e non è pianto il tuo perchè racconto è il riso e pianto il suo riassunto. Sul viso la sintassi non ha imperio, non ha nessun comando.